Denim Killer

Moda, tendenze e morte. Tre parole che messe insieme lasciano sicuramente un po’ interdetti. E allora perché affiancarle nonostante abbiano significati così diversi? Forse perché c’è chi è disposto a mettere in pericolo la vita umana per produrre capi d’abbigliamento che rendono felici e soddisfatti chi li acquista, ma a spese della salute di chi passa la maggior parte delle sue ore a lavorare per realizzarli.
Da anni ormai siamo sommersi da campagne ecosostenibili da parte del settore moda, ed è scioccante scoprire come alzino giustamente tanto rumore per le pellicce degli animali, ma si nascondino quando si scopre che non danno lo stesso rilievo agli esseri umani.
È il caso messo in luce di recente dall’associazione Abiti puliti insieme a Fair sul processo di scolorimento dei jeans, la sabbiatura o sandblasting, un trattamento che prevede l’utilizzo di un compressore ad aria che spara acqua e silicio “sabbia” ad altissima pressione, tramite operai che in un giorno riescono a produrre fino a 1200 capi, a spese dei loro polmoni.
Anche se il tasso di silicio consentito dalle direttive comunitarie è solo del 0,5%, alzato dagli USA all’1%, oggi questi compressori contengono in realtà l’80% di sabbia. Certamente un dato che non passa inosservato, e se si aggiunge che gli operai lavorano dodici ore al giorno senza nessuna precauzione, possiamo davvero confermare quanto il rispetto della vita sia passato in secondo piano rispetto la sete di denaro.
Naturalmente, tutto questo avviene in paesi lontani dalle vetrine fatiscenti che vendono jeans a prezzi stratosferici e da chi sorride soddisfatto nel vedere il cliente andar via con la busta del negozio, e sicuramente lontano anni luce dai lussuosi uffici e aziende di moda che giocano a fare “i diligenti creativi con il rispetto per l’ambiente”.
Turchia, Egitto, Cina, Bangladesh, sono i paesi più sfruttati, più lontani e sicuramente, i più silenziosi. Ma a seguito dell’elevato tasso di morte, la Turchia ha deciso di parlare e portare la sua testimonianza, dopo che il Ministero della Sanità ha deciso di vietare la sabbiatura in seguito ai dati spaventosi degli ultimi anni: su 10.000 lavoratori infatti, almeno la metà è affetta da silicosi, una malattia che attacca le vie respiratorie e per cui non esiste ancora una cura, se non la morte.
Dopo tali fatti, l’associazione Abiti Puliti non ci ha pensato due volte, ed ha subito lanciato una campagna per incitare tutte le aziende a interrompere l’utilizzo di questo processo. In molti hanno aderito, naturalmente non senza fingere stupore sull’argomento, altri invece hanno preferito, dall’alto del loro superficiale potere, non fare dichiarazioni al riguardo.
Almeno non prima del servizio mandato in onda delle “scomode” Iene, che ha messo in luce l’atteggiamento arrogante di alcuni famosi designers che al momento di dire la loro o lasciare dichiarazioni, si sono tristemente nascosti dietro le loro lussuose macchine blindate e le guardie del corpo per tutelarsi.
Purtroppo non sempre a tanta ricchezza corrisponde altrettanto coraggio e umiltà.
Ma come accade solitamente, per non fare brutta figura (meglio tardi che mai), hanno anche loro successivamente aderito alla campagna. Diciamolo, forse non avevano scelta.
Tralasciando questo triste aspetto, l’industria italiana ha subito preso in considerazione delle tecniche alternative per la lavorazione del denim. È il caso del gruppo italiano, l’abbruzzese Fimatex, di Corropoli (Teramo), che da vent’anni si occupa del trattamento dei jeans. La novità sta nell’adottare tecniche di sbiancatura naturale, l’Eco-aging, ovvero un mix vegetale ecologico e biodegradabile al 100% che riesce a ricreare l’effetto “usato” del jeans, magari mantenendo anche una buona qualità del tessuto, visto che i precedenti di cui parlavamo erano sicuramente alla moda, ma fatti apposta per durare poco.
Speriamo che questo metodo arrivi in tutte le grandi aziende e che magari riporti il Made in Italy nella produzione del denim ad un livello superiore, se non esclusivo.
Insomma, ancora una volta emerge quanto sia difficile mettere da parte l’egoismo umano e la voglia di accrescere i propri profitti a scapito di altri, che siano poveri animali o uomini disposti a lavorare ore come macchine per un misero stipendio, chi possiede molto a volte non possiede la cosa più importante, il rispetto per il prossimo.
E se la moda, che dovrebbe rappresentare quanto di più creativo e bello l’uomo è capace di realizzare, diviene anch’esso mezzo di distruzione, tanto vale dire che l’umanità non è in grado di creare poi così tanto, senza distruggere.

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